ho qui su tutto il corpo
i presupposti per morire
non morirò in modo fantastico
e non avrò opportunità diverse
come programmando un suicidio;
nessuna preferenza
la morte mi salirà dalle gambe
Già la portano scritta sulla pelle
ho qui su tutto il corpo
i presupposti per morire
non morirò in modo fantastico
e non avrò opportunità diverse
come programmando un suicidio;
nessuna preferenza
la morte mi salirà dalle gambe
Già la portano scritta sulla pelle
la casa affonda la sua prospettiva
dietro i rami cascanti del pino
un perimetro di erbacce arrampica
dove prima c’erano le rose
padrone è il silenzio, che
prende forma sotto la luce del tramonto
diventa goccia, lacrima implicita
di tutte le ombre che contiene
si resta soli, persi negli affanni
nella speranza di vedere i lupi
*
Indugiato, ti accumuli sulla terra ferma
alla tua giostra hai espiantato i motori
non c’è bisogno di colmare aspettative
né parimenti evitare ponti e sottostrade
non osi, non ambisci, ritieni la voce
del mondo, il dramma dinamico
per incrementare le tue rinunce
*
Siamo raffermi, dai piedi alle tempie
pulsanti dardi di un gioco impari
tra larghezze e lontananze, valichi
dirottati sulla forma delle nuvole
basta un silenzio, la costruzione
di due parole in croce per delineare
punti inespugnabili, sempre più acuti
trivellanti fino al centro della terra
la piazza è rappresa di croste vegetali
di sostanze da amare come assedi
di braccia avviluppanti come anfiteatri
*
L’ipotesi di ritorno
apre la pagina di giornale
sfoglia il vento ininterrottamente
mi corre notizia di te
quasi estrema, flash
conferma esclusiva, scontata
di finestra chiusa assorta nel tempo
in cronologie inverse
al futuro
*
Così puoi dormire
in condizione urlante
o carezza che solleva al cuscino
il lamento profuso dal palmo
io non ci sono
seccata agli orli come spiga
sul campo di grano
manca solo di piovere
il sangue dei tordi
martellati sotto la ruota
dello spaventapasseri
veloce come una giostra
che uccide il cavaliere
mentre cerca di agire da uomo
*
Sei come quella parte passiva
che abbiamo sul dorso delle mani
non ripiegante all’indietro, irrigidisce
non scambia, non accoglie
opposta a un pugno, stretto alla nascita
col principio dentro del mai agire
ti vedo a piedi avvitati su porzioni di tempo
sempre più strette; il contrappeso
della schiena che ti sposta i baricentri
ti fa avanzare in viso un colorito grigio
di chi muore la vita aspettando i cent’anni
sono dentro a un accoglimento perfetto
caricato di spirito puro, fino a considerare
il corpo razione annessa, non portante
mi bagno di colore e di fiore, rotolandomi acqua
aperta, incolta, gestibile a contenere ninfee
impianti di radici e fiumi uscenti dal buio
per inondarmi gracilmente di compassione
mi accosto al pavimento con l’orecchio
lo sento esterno, compiuto alla roccia
un tratto continuo di attrito, per cui
non cambia l’aderenza del mio passo
visibilmente va lontano, il tatto delle cose
tocco il presepe mentre si accende a valle
le stelle volanti del dieci di agosto
il blu che mi risucchia di tutto l’infinito
finché il mio cosmo instabile
mi abbatte in volo
i ricami sono bianchi sul bianco
foglie candide di vento
in forma volante seppure opposta
ad acque piene di sonno
sulla crosta terrena restano sacchi
maleodoranti di nero, zavorre
che nascondono un tesoro
senza indicazioni per essere salvato
mi lascia stanca questa bocca
morta in tutte le sue emanazioni
calzante la caduta perpetua di parole
tutte uguali
a mia parte insolvente trema
le ultime carni vive delle mani
perdendo appigli e connessioni
tutto a sciogliere i futuri
nella forma che resta in piedi
vuota, prima di precipitarmi
cenere
avanziamo cuori perforabili
transenne ancorate alla paglia
bucati di brividi e angosce
martellanti sui materassi
annettiamo bevande snervate di metalli
filtri preliminari, inutili al rodaggio
di corpi che buttano anime dai balconi
come fiori recisi da ogni linfa
toccammo le spine invasive dei luoghi comuni
come plastica e mare, il peso degli ingredienti
il comprendere i significati di una canzone
ma quello che porta a sanguinamenti estremi
è se ti siedi sul trespolo a tre zampe
se guidi un’automobile a due ruote
un senso di stabile incomprensione
la perdita dei dati, dopo averli mischiati
l’assenza straordinaria di sistematicità
che rassicura vecchi e bambini
qui sul bianco non ho limiti, né sponde
non ho linee per individuare cadute
trovo uno spazio eterno valicabile
alto e basso, ma continuo, senza salti
favorisce l’inchiostro, esso sia di penna
o stampa. accompagna la colata
così da indirizzare il nero a essere sottile
spesso, curvilineo, ad asta corta o lunga
il significato non conta, solo il suono
solo i ritmi di pause e silenzi
di vuoti e pieni. le parole governano
l’intermittenza di una luce
che a volte riposa, altre acceca